L'unica battaglia che ho perso è stata quella che ho avuto paura di combattere.(Che Guevara)

venerdì 10 gennaio 2014

Antologia Senza Fissa Dimora 2013 - 2° Classificato



Lezioni di fisica applicata

Uno studente dell’ultima fila si sforzò di reprimere uno sbadiglio; qualcun altro, vicino a lui, ne fu contagiato e si lasciò andare, coprendosi educatamente la bocca. L’inverno era alla fine, ormai; le belle giornate portavano temperature più miti, causando in alcuni la tipica sonnolenza primaverile.
La lezione di fisica era quasi al termine. Il docente, allo scopo di vivacizzare l’atmosfera, volle coinvolgere gli studenti ponendo qualche domanda: - Quando Cavendish pubblicò il risultato del suo esperimento, quale fu il valore della massa terrestre? – Indicò una ragazza: - Signorina Simon?
La studentessa mugugnò qualcosa, poi scosse il capo: - Non lo so, professore – rispose.
Nella fila alle spalle della giovane, alzò la mano un altro studente, con lunghi capelli riccioluti color rosso carota.
L’insegnante accennò al ragazzo, invitandolo a rispondere: - Signor Leroux?
- Non fu pubblicato, quel valore – affermò.
- Non fu riportato – confermò il docente, annuendo. – Sa dirmi anche il perché?
Il giovane allargò le mani. - Agli scienziati di allora, non gliene importava niente, quanto pesasse la vecchia crosta – rispose con misurata leggerezza, provocando qualche risatina; lo studente sapeva che il professor Lemoine fosse incline ad accettare le battute di spirito, qualora non sconfinassero nella volgarità.
- Grazie, signor Leroux – disse l’insegnante, poi si rivolse alla sala intera: - Coloro che interverranno all’esercitazione in laboratorio, ripassino gli appunti sull’equipaggiamento di Cavendish. Dopodomani lo ripeteremo, ma ci sarà una sorpresa. E’ tutto. – Si avvicinò alla cattedra e raccolse le proprie cose.
Gli studenti si alzarono tutti insieme, chi parlando con altri, chi scendendo di corsa lungo le scalinate; si creò un certo trambusto.
- Signor Leroux – chiamò il docente, vedendolo passare.
Il giovane, che di nome faceva Denis, lo avvicinò: - Sì, professore?
Lemoine lo guardò calmo, e disse: - Cerchi di non dimenticare che siamo in un’aula universitaria, signor Leroux.
- Certo, professore. Mi scuso, se ho offeso i suoi sentimenti. – Lo guardò con un sorriso difficile da decifrare: l’uomo, che aveva il doppio dei suoi anni, sapeva quale significato attribuirgli, ma lo ignorò.
- E’ sempre molto preparato, signor Leroux – dichiarò poi. – Quell’aspetto è positivo.
- Ci tengo che sia contento di me. – Si mostrò emozionato, dicendo quelle parole. – Buona giornata, professore.
L’insegnante rimase perplesso a guardare lo studente mentre si allontanava; poi si mischiò agli altri e lasciò l’aula.
Uscito dalla sede dell’università Claude Bernard Lione 1, scese lungo la scalinata esterna e andò a prendere l’automobile nel parcheggio antistante. Tornò a casa in pochi minuti. Il suo condominio si trovava in rue Sainte-Hélène, che attraversava da parte a parte quell’estesa lingua di terra infilata tra il Rodano e la Saona; poco più a sud, i due rami confluivano in un unico corso d’acqua.
Quando entrò in casa, la trovò un po’ fredda. Paul non accendeva più il riscaldamento da alcuni giorni, ormai, e la temperatura tendeva a rimanere bassa, durante la mattinata.
Il freddo ambientale si aggiunse a quello interiore, quando passò attraverso la sala; Antoine se n’era andato da quasi un anno, ormai; eppure, la sua presenza era più forte che mai, tra quelle mura.
Per fortuna, i medici lo avevano salvato, quand’era andato in overdose. Il suo Antoine, da sempre sottomesso alla droga, aveva rischiato di morire alcuni mesi prima, in autunno. Il medico del pronto soccorso ne aveva attribuito la colpa a una partita di eroina tagliata male, ma Paul non s’illuse di poter ignorare la propria responsabilità: la situazione di Antoine era molto peggiorata, dopo che l’aveva cacciato da casa. Non ne aveva colpa, ma soffriva ugualmente. Come poteva considerarsi innocente, sapendo di aver deluso l’uomo che aveva amato per dieci anni?

Il pomeriggio di Denis Leroux iniziò con la voglia di evadere. In casa, l’atmosfera era sempre un po’ pesante, a causa dei suoi genitori. Entrambi pensionati, passavano le giornate in silenzio, in un clima di civile sopportazione.
Scappò via insieme ai suoi appunti, deciso a cercarsi un angolino tranquillo, ma non così tetro come casa sua, dove poter studiare in pace. Uscì nell’avenue George Pompidou e si mise a camminare. Istintivamente, le gambe lo portarono verso nord, nella zona dell’università.
Percorrendo la strada, ripensò alla lezione del mattino. Gli aveva fatto piacere che la Simon fosse stata incapace di rispondere a quella domanda, permettendogli di far bella figura con il professor Lemoine.
Aveva tutta l’intenzione di prepararsi a dovere per l’esercitazione in laboratorio, con l’obiettivo di dimostrarsi, se possibile, il migliore.

Il tempo libero era diventato una croce, per Paul Lemoine, da quando era solo. Specialmente d’inverno, aveva passato spesso le sue serate in casa, indugiando nei suoi passatempi preferiti: un buon libro, un film, o la sua collezione di francobolli dell’estremo oriente, in cui era specializzato. Ben presto, si era stufato di tutto, perciò aveva maturato l’esigenza di organizzarsi per non sprofondare nella noia e nella depressione.
Il giorno seguente, sarebbe stato libero dagli impegni all’università; quindi, quel pomeriggio non aveva nessuna lezione da preparare. Era martedì, e non gli risultava alcun evento di rilievo, in città; tuttavia, dopo mangiato era stato colto dalla malinconia, perciò si decise a uscire.
Era un pomeriggio tiepido e soleggiato, e Paul pensò che i giardini pubblici fossero una meta ideale. Sulla riva orientale del Rodano si affacciava il parco della testa d’oro. A piedi, ci voleva circa mezz’ora, perciò lasciò la macchina in garage e s’incamminò. Anziché passare per il centro, percorse il lungofiume fino al limite settentrionale dell’area urbana, poi attraversò il ponte William Churchill.
Entrò nel parco dall’ingresso più vicino al ponte. Immerso nella natura, camminò lungo la pista, incontrando i molti frequentatori presenti, tra i quali un certo numero di sportivi che si allenavano nella corsa, oppure in bicicletta.
Non gli ci volle molto, per arrivare nei pressi del lago, poiché la sua estremità meridionale si trova a poca distanza dall’ingresso. Presso la sponda, notò un giovane dai capelli rossi seduto sull’erba, all’ombra di un grosso albero; teneva le gambe incrociate, e su di esse poggiava un quaderno. Passandogli vicino, poté vederlo meglio: era Denis Leroux, che frequentava il suo corso di fisica applicata. - Lo chiamò: - Signor Leroux!
Denis alzò gli occhi dal taccuino. Il suo sguardo s’illuminò, quando riconobbe l’insegnante: - Professor Lemoine! – esclamò. – E’ venuto a godersi le bellezze del parco?
- E’ normale, per un uomo della mia età, passeggiare ai giardini pubblici – dichiarò, divertito da quella coincidenza. – Trovo, invece, alquanto anticonvenzionale il suo modo di studiare all’aperto, rispetto agli altri studenti che scelgono abitualmente la biblioteca.
- Io ci vado, in biblioteca – ribatté il ragazzo, con un gran sorriso – quando ho bisogno di fare qualche ricerca. Adesso sto studiando il macchinario di Cavendish, e per quello, sono sufficienti i miei appunti.
- Ti stai preparando per l’esercitazione? – gli chiese Paul, in senso retorico. – E’ dopodomani. Avresti potuto aspettare domani pomeriggio, per il ripasso.
- Stamattina, durante la lezione, ha detto che ci sarà una sorpresa – ricordò il giovane. – Voglio assicurarmi di essere preparato.
Il docente rimase stupito, poi commentò: - Mi fa piacere che t’interessi alla mia materia così seriamente. – Accennò ad andarsene: - Ti lascio studiare.
Lo studente guardò il suo insegnante che se ne andava, poi lo chiamò: - Aspetti, professor Lemoine!
Paul si volse verso il giovane; lo vide alzarsi e corrergli incontro.
- Si offende, se la invito a bere qualcosa insieme? – domandò Denis. – Mi è venuta sete, stando seduto a leggere.
L’uomo rifletté un momento: non aveva mai frequentato i suoi studenti, perché gli pareva inappropriato; tuttavia, quell’incontro era imprevisto, perciò non gli sembrò sconveniente, prendere una bibita insieme al ragazzo. – Non vedo proprio perché dovrei offendermi – fu la sua risposta. – E dove pensa di trovare qualcosa da bere, qui al parco?
Entusiasta per il consenso dell’altro, Denis si mostrò eccitato: - Un po’ più in là – disse, gesticolando verso est – c’è la boutique, che vende anche bevande. Possiamo fare due passi insieme.
Messo di fronte alla proposta nella sua concretezza, a Paul non rimase che accettare: - D’accordo.
S’incamminarono verso l’ingresso del giardino zoologico. Passarono in rassegna un gran numero di animali esotici, scambiandosi le loro impressioni. In seguito, lo studente pose una domanda di natura personale: - E’ sposato?
L’insegnante scosse la testa: - No, non sono mai stato sposato. – Paul rifletté, prima di dire altro. Non manteneva segreta la propria preferenza sessuale, ma nemmeno amava pubblicizzarla. Successivamente, aggiunse: - Ho avuto una lunga convivenza, che è terminata lo scorso anno.
Arrivati alla boutique, Denis acquistò due bevande; i due rimasero a bere in piedi davanti al chiosco. Il ragazzo raccontò la propria situazione familiare, fredda e disagevole. Il docente ascoltò con interesse, costatando quanto potesse cambiare la visione delle persone, spingendosi oltre la superficie.

Tornando a casa, Paul fece una passeggiata per la rue Garibaldi. L’incontro con Denis gli diede da pensare.
Lo studente si era mostrato notevolmente entusiasta, e lui si era lasciato coinvolgere. La freschezza giovanile che gli aveva comunicato, evocò i ricordi dei primi tempi con Antoine.
Per un’improbabile coincidenza, lo aveva conosciuto durante una gita a Marsiglia. Erano partiti da Lione con lo stesso treno, occupando carrozze diverse. All’arrivo, avevano lasciato la stazione, iniziando a scendere la lunga scalinata che porta in città. Si erano trovati affiancati, ognuno con il proprio zaino. A metà gradinata, Antoine gli aveva domandato come mai continuasse a guardare lui, anziché lo splendido panorama. Colto alla sprovvista, Paul aveva risposto con sincerità, confessando di non poter distogliere lo sguardo. Erano seguite le presentazioni, poi la passeggiata per le vie di Marsiglia, la cena, e infine la nottata in discoteca; la prima di molte notti insonni. Che giorni erano stati, quelli! La droga era venuta dopo, a sfasciare le loro vite. Già dai primi tempi, Antoine aveva manifestato l’inclinazione a stordirsi in qualche maniera: inizialmente con qualche bicchierino di troppo. Quando era passato agli spinelli, Paul aveva creduto alla storia che fossero innocui; ma dopo il salto all’eroina, quando capì quanto fosse grave la situazione, era stato già troppo tardi, per correre ai ripari. In pochi anni, l’Antoine dolce e spensierato conosciuto nell’estate marsigliese era scomparso, lasciando il posto a un’anima inquieta e costantemente inappagata, che aveva perduto progressivamente la capacità di dare amore, specialmente a se stesso. “Che strano effetto fa, l’amore” pensò Paul, arrivando a casa. “Quando ripensi a qualcuno che hai amato tanto, ricordi i momenti della passione più fulgida, per primi; ma poi sei schiacciato, quasi immediatamente, dalla triste realtà di quanto l’amore possa spingerti in basso”.

Il mercoledì mattina, Paul lo dedicò alle faccende di casa. Ovviamente, poteva permettersi una domestica: c’era Irene, una ragazza italiana, che andava a casa sua tutti i venerdì mattina a fare la lavatrice, stendere e stirare la biancheria asciutta della settimana precedente. Per fare la spesa e le pulizie di casa, però, doveva arrangiarsi.
Andò all’ipermercato e riempì il bagagliaio della sua automobile con le scorte per la settimana. Al momento di ripartire, entrò e accese il motore; rimase qualche istante inattivo, ad attendere che l’acqua nel radiatore si scaldasse.
Mentre fissava l’indicatore del termometro, fu disturbato dal suono intermittente di un clacson, alla sua sinistra. Guardò dal finestrino: nella vettura accanto, un tipo gli faceva dei segni. Entrambi abbassarono i vetri, per potersi parlare: - Paul! – chiamò l’altro. L’insegnante lo guardò: quell’uomo aveva qualcosa di familiare. – Paul! – insistette. – Sono io, Jacques! Jacques Morel! Non ti ricordi?
Per il docente, fu un brusco ritorno ai suoi anni da studente, quando capì chi fosse il tizio nell’altra automobile. Con Jacques Morel, ne aveva combinate tante, quando avevano frequentato insieme l’università. Avevano sviluppato una forte intesa, e la passione giovanile si era espressa con forza tra loro; però, il loro rapporto non si era spinto oltre l’amicizia, pur essendoci un intimo affiatamento.
 - Jacques! Certo che mi ricordo – rispose, senza nascondere il proprio entusiasmo. – Una volta, andasti in giro tutta la notte con le mie mutande infilate nel manubrio della tua moto. – I due uomini esplosero in una risata, ripensando a quei momenti incancellabili.
- Dovremmo vederci, una volta – fu la proposta di Jacques.
Paul gradì quell’invito, ed espresse il proprio consenso: - Con piacere.
- Io gestisco una copisteria nell’avenue Berthelot. Perché non vieni a trovarmi? – suggerì.
- Ci verrò senz’altro – rispose, sorridente.
Si salutarono brevemente, poi lasciarono il parcheggio, ognuno per la sua destinazione.
Paul raggiunse il suo condominio in pochi minuti. Dovette fare un paio di viaggi in ascensore, per portare in casa tutta la spesa. In quell’arco di tempo, vagò col pensiero tra le memorie dei suoi anni verdi, rimembrando le serate passate insieme a Jacques. Quando si erano conosciuti, aveva provato subito una profonda attrazione verso di lui; quel sentimento, però, aveva l’anima dell’amicizia, e non si era espresso con la tipica esuberanza della passione. Si erano concessi gran confidenza, rivelandosi i loro sogni più profondi, non risparmiandosi le critiche, ma senza mai negarsi il rispetto.
Ricordò quei giorni, valutando che fosse stato uno dei periodi più felici della sua vita. Ce n’erano stati altri, ovviamente: i primi anni insieme ad Antoine, per esempio; ma la vita da studente era stata caratterizzata da quella vivace spensieratezza che più di rado, negli anni della maturità, è possibile sperimentare ancora. Per lo meno, a Paul non era più capitato.

Dopo mangiato, il docente di fisica ricordò di non dover preparare alcuna lezione, per il giorno seguente: il programma, infatti, prevedeva l’esercitazione in laboratorio con la macchina di Cavendish, perciò non c’era bisogno di alcun ripasso. Oltre a quello, si rese conto che, per tutto il tempo passato in casa, aveva pensato all’incontro della mattina con Jacques Morel. Non ne era mai stato infatuato, però gli era chiara una cosa: i bei ricordi della giovinezza non perdono mai il potere d’incantare la fantasia; anzi, con il passare degli anni, la loro capacità di sedurre si rafforza.
In un momento imprecisato del pomeriggio, si scoprì deciso ad assecondare l’invito del suo vecchio amico, andando a fargli visita nel suo negozio di fotocopie.
Uscì poco prima delle sedici e raggiunse a piedi l’avenue Berthelot, che si trovava poco distante da casa sua, appena di là del Rodano. Trovata la copisteria, si fermò davanti alla vetrina per dare un’occhiata: all’interno, un giovane commesso stava copiando le pagine di un libro per conto di una studentessa, che assisteva annoiata; un momento dopo, Jacques Morel arrivò in banco dal retrobottega. Per Paul, fu istintivo sollevare una mano, ottenendo la sua attenzione; l’altro ricambiò il saluto, invitandolo a entrare.
Mentre Paul varcava l’ingresso, Jacques gli andò incontro, e si fermarono a parlare a metà strada.
- Mi hai preso in parola – osservò Jacques, per sottolineare la solerzia del suo amico.
- Dopo che ci siamo visti stamattina, ho pensato molto ai vecchi tempi – ammise l’insegnante.
Il commerciante rispose con voce tremante: - Anche a me, è capitata la stessa cosa.
Fu un momento d’intensa emozione, per i due uomini. Paul si schiarì la voce, poi disse: - Spesso, a noi vecchietti, manca l’allegria della giovinezza passata.
- Quando eravamo ragazzi, invece, ci mancavano la maturità e l’esperienza – sentenziò l’altro, con un sorriso malizioso.
- Non siamo mai contenti – fu la conclusione di Paul, che poi aggiunse: - Non si può avere tutto.
- Tutto, no – confermò Jacques. – Però, possiamo avere ancora tanto.
In un primo momento non ne aveva avuta la certezza, ma giunti a quel punto, Paul non ebbe più dubbi riguardo al messaggio che l’altro intendeva trasmettergli. Evidentemente, Jacques accarezzava l’idea di ricominciare a frequentarlo, ma non era chiaro con quali finalità. Indicò il ragazzo che lavorava nel negozio: - Lui è…?
- Non è dei nostri – lo interruppe l’amico, con un’espressione eloquente.
 - Insomma, che cosa hai fatto, in tutti questi anni? – volle sapere il docente, ravvivando la conversazione.
 Jacques infilò le mani in tasca: - Non sono riuscito a lavorare nel campo scientifico, perciò ho investito tutto in quest’attività. – Parlò guardandosi intorno: sembrava a disagio nel confronto con Paul, che aveva avviato con successo la carriera nel campo della didattica.
In quel mentre, entrò nel negozio una giovane coppia, recando alcuni documenti da fotocopiare. Paul si girò a guardarli; poi notò che il commesso era ancora impegnato con la sua cliente, e ritenne che fosse d’intralcio: - E’ meglio che vada, così ti lascio lavorare – affermò.
L’altro andò incontro ai due avventori, ma non prima di aver congedato Paul con stile: - Mi ha fatto moltissimo piacere, la tua visita. Vorrei che avessimo più tempo. Perché non mi chiami, qualche volta?
- Senz’altro – fece il docente, arretrando di un passo; poi si voltò e uscì.
Tornò verso casa, attraversando il Rodano al ponte in fondo alla strada. Giunto all’angolo di rue Sainte-Hélène, decise di allungare la passeggiata, poiché era presto, e proseguì sulla riva del fiume.
Non poté evitare di domandarsi come si sarebbe comportato, nei confronti di Jacques. Il suo vecchio amico gli aveva dimostrato molto interesse, rivolgendogli due inviti nella stessa giornata. Paul non aveva bisogno di una dichiarazione esplicita, per capire le sue intenzioni; ma era di se stesso, che dubitava: lo avrebbe reso felice, approfittare di quell’occasione? Valutando la persona con obiettività, sembrava un tipo affidabile. Lo era sempre stato, in fin dei conti, anche se con qualche eccesso stravagante. Il vero problema, invece, pareva essere un altro: Paul non sapeva che cosa ci volesse, per renderlo felice. Il suo rapporto più importante, con Antoine, era sembrato felice, per un po’: cioè, prima della droga; ma in seguito, quand’erano iniziati i problemi, era forse terminata, la felicità? Poteva credere che fosse l’assenza di problemi, a rendere felici? Se era così, lasciare Antoine avrebbe dovuto garantirgliela, quell‘agognata felicità, ma non era andata in quel modo. L’amarezza e la pesantezza di una vita priva di soddisfazioni si erano protratte a lungo.
C’era voluto un anno di solitudine, per restituire un equilibrio alla sua vita. Forse era quella, la vera felicità: l’equilibrio, cioè un momento di serenità, in cui nulla potesse turbare la quiete di una vita senza scossoni, anche se, unico effetto collaterale, con poche emozioni.
Il laboratorio di fisica applicata brulicava di studenti, ansiosi di cimentarsi nel compito del giorno. Paul Lemoine l’aveva promesso, che ci sarebbe stata una sorpresa, e così era stato: con loro grande sconcerto, i giovani avevano trovato, ad aspettarli, l’attrezzatura per eseguire l’esperimento di Cavendish, ma completamente disassemblata. L’esercitazione programmata consisteva nel montare in modo corretto la macchina: una bilancia di torsione, ideata per misurare la costante di gravitazione universale.
A un lato dell’ampio salone, si trovavano due carrelli elevatori a motore; vicino a un’altra parete, due solidi piedistalli reggevano due grosse sfere metalliche, del peso di 157,8 Kg. ciascuna.
Al centro, poggiate a terra, c’erano le aste, le corde e i tubi, completi di tutti i raccordi necessari per montare il telaio.
Inizialmente, alcuni ragazzi manifestarono atteggiamenti disfattisti, di fronte a quell’incombenza. Solo alcuni, tra loro, accolsero la sfida con entusiasmo: uno di loro fu Denis Leroux.
Il lavoro si svolse per tutta la mattinata, fino all’ora di pranzo. Al termine, spossati ma soddisfatti, gli studenti si affidarono al giudizio dell’insegnante per la valutazione: la bilancia di torsione era stata montata con successo, e il susseguente esperimento era riuscito perfettamente.
- E’ contento, professor Lemoine? – domandò Denis avvicinandolo, al termine della sessione.
- Senz’altro. – Paul fu felice, quando il ragazzo gli parlò. – Siete una buona squadra.
- Anch’io sono contento. – Denis si espresse senza timidezza: - E poi, mi ha fatto piacere che abbia accettato il mio invito, l’altro ieri pomeriggio, quando ci siamo incontrati al parco della Testa d’Oro.
Al docente sembrò un po’ strano, mischiare il rapporto professore-studente con la vita privata; comunque, non gli parve logico rinnegare il piacere di quei momenti: - Anch’io sono stato bene – ammise.
- Speravo che lo dicesse! – Il giovane non nascose il proprio entusiasmo: - Potrei azzardare un altro invito? – Estrasse dalla tasca della sua giacca due foglietti e glieli mostrò: - Ho due biglietti per entrare gratuitamente all’inaugurazione di una mostra su Ludovico De Luigi.
- Chi è? – chiese istintivamente Paul. - Non lo conosco.
- E’ un bravissimo pittore italiano contemporaneo, non molto conosciuto in Francia. I suoi quadri sono bellissimi; e poi, ci sarà anche un rinfresco.
L’insegnante non rispose; si limitò a osservare il viso del ragazzo: lo guardava con occhi invaghiti, ma ancora non capiva se cercasse in lui un partner, oppure una figura paterna, visti i suoi problemi con i genitori. La possibilità che volesse essere favorito nello studio era molto remota, essendo uno dei suoi migliori studenti. Chiaramente, spiccava la differenza tra il bere qualcosa insieme al chiosco del parco, in seguito a un incontro casuale, e il programmare un appuntamento al di fuori dell’attività universitaria: si entrava nel campo dei rapporti personali, e Paul non era incline a intraprendere quella strada. D’altro canto, gli piaceva quel ragazzo, e mentre elencava mentalmente tutti i motivi per rifiutare l’invito, aveva già deciso di accettare: - Va bene, Denis. Credo che verrò.
- Grande, prof! – commentò il giovane, con un moto d’esultanza.
Presero accordi per vedersi al pomeriggio. Esaurito l’impegno alla facoltà, il docente tornò a casa, domandandosi se fosse una scelta assennata, socializzare con quel giovane. Ovviamente, lui aveva le migliori intenzioni, ma fu determinato a essere cauto.

Era valsa la pena di visitare la mostra soltanto per le tartine al caviale: questo pensava Paul, mentre passava in rassegna i dipinti, mangiucchiando il suo spuntino.
Le tele di Ludovico De Luigi lo colpirono. Esse univano spesso elementi di fantasia ad altri del mondo reale, oppure mischiavano realtà differenti in modo capriccioso: c’era un quadro che riproduceva una gigantesca onda anomala sopra piazza S. Marco, a Venezia, mentre un altro mostrava il ponte di Rialto, oppure il campanile di S. Marco; Venezia era spesso presente, nelle sue opere.
- Che cosa ne pensa, Professor Lemoine? – domandò Denis. I due si erano fermati a contemplare un quadro molto grande; oltre ai consueti elementi del capoluogo veneto, era rappresentata una giovane donna a petto nudo sullo sfondo.
- Non capisco che cosa c’entri la ragazza nuda con tutto il resto – affermò Paul, accennando al dipinto con la mano in cui teneva il suo crostino allo storione.
- Può darsi che il pittore intendesse paragonare la bellezza di Venezia alle grazie di una fanciulla – fu l’ipotesi suggerita dallo studente.
- O forse – spiegò, in alternativa – pensava di eccitare lo spettatore, per invogliarlo all’acquisto.
- Certo – ammise l’altro, con prudenza. – Nessuno è indifferente, davanti a una bella ragazza.
Ci fu silenzio: l’insegnante non si pronunciò rispetto a quell’affermazione. Dopo averci pensato, decise di affrontare l’argomento un po’ alla larga: - La figura femminile è sempre stata di grande ispirazione in tutte le discipline artistiche, fin dall’antichità. La sua avvenenza, l’eleganza, sono state riprodotte in tutti i modi, per la capacità di catturare l’attenzione del pubblico.
- Si possono dire le stesse cose anche del corpo maschile – obiettò Denis. – Gli scultori greci e romani hanno prodotto figure di dei e guerrieri scolpiti nella pietra, in gran quantità.
- Sono quelle che preferisco – ammise il docente, annuendo.
- Anch’io! – esclamò il giovane, entusiasta. Guardò il suo professore con malizia: - Mi sembra che abbiamo qualcosa in comune. - Tornarono verso il buffet per prendere da bere.
Presero una birra ciascuno, poi andarono a sedere su uno dei divani posti al centro della sala. Si rilassarono, e lo studente passò all’azione: - Sono felice che abbia accettato il mio invito – dichiarò.
Paul annuì, sorseggiando la sua birra, poi rispose: - Valeva la pena di vedere questa mostra; ti ringrazio.
L’altro scosse la testa: - Non è solo per la mostra. – Volle chiarire la sua posizione, ma con delicatezza: - Dopo aver frequentato il suo corso per un po’ di tempo, ho desiderato conoscerla meglio, professor Lemoine.
L’insegnante s’irrigidì leggermente: temeva e desiderava quel momento al tempo stesso, non sapendo come avrebbe reagito.
Denis se ne accorse, e tentò di rimediare: - Può capitare di simpatizzare per qualcuno, anche nel caso in cui il rapporto possa dar luogo a un conflitto d’interessi. Per questo motivo – volle spiegare – ho aspettato, prima di espormi. La mia paura più grande è di essere frainteso. – Tralasciò la prudenza e si espresse liberamente: - Non vorrei farle pensare che il mio interessamento fosse un pretesto per essere favorito nello studio.
- Non lo penso assolutamente – affermò Paul, per tranquillizzarlo. – Sei tra i più bravi, al mio corso, quindi non avresti motivo d’ingannarmi, per ottenere delle buone valutazioni.
- Grazie, professore. – Il giovane arrossì, per il piacere che gli aveva dato quel complimento. – Per essere completamente sincero, devo ammettere d’impegnarmi maggiormente nella sua materia, rispetto alle altre, proprio perché voglio evitare che lei possa mal interpretare la simpatia che le esprimo.
Il docente fu colpito da quella dichiarazione: Denis gli aveva appena confessato i suoi sentimenti in modo inconsueto, informale, ma non per questo meno efficace. – E’ molto bello, quello che mi hai detto – fu la sua semplice risposta.
- Grazie. – Il giovane s’illuminò, pensando di averlo conquistato.
- Mi riesce spontaneo domandarmi che cosa trovi, in me, di tanto interessante – volle sapere Paul.
- In effetti, capisco che possa apparire un po’ strano – confermò il ragazzo. – A chiunque, sembrerebbe evidente la differenza di età. Forse, lei vorrebbe sapere come mai io non preferisca frequentare i miei coetanei.
- Pensavo proprio a quello, infatti – ammise.
- Le ho raccontato della mia situazione familiare. – S’incupì. - Il rapporto con i miei genitori è sempre molto distaccato; perciò, è forse possibile che stia cercando una figura paterna alla quale attaccarmi. D’altra parte, tutti quanti cerchiamo nel prossimo le nostre figure di riferimento, non è vero? – Gli sorrise con aria saccente: - Il padre, la madre, sono i modelli che tutti cerchiamo negli altri; ma se poi riduciamo le relazioni alle meccaniche psicologiche per cui si sviluppano, non c’è pericolo di togliere loro tutto il sapore?
L’insegnante ultraquarantenne fu ulteriormente stupito, questa volta dall’acume e dalla dialettica del suo studente. Trovò quel discorso molto coinvolgente, ma iniziò ad avvertire una certa pressione: era evidente, infatti, che l’interesse mostrato dal giovane richiedeva una risposta, ma non era ancora sicuro di quale intendesse fornire. – Molto bene, Denis – disse. – Sono felice di questa nuova amicizia. Comunque, credo che ora mi avvierò verso casa.
- Il ragazzo si mostrò deluso: - Ho detto qualcosa di sbagliato? – fu il suo timore.
- Assolutamente no – chiarì l’altro, alzandosi.
- Avevo pensato d’invitarla a cena, stasera – azzardò.
- Mi sembra prematuro – fu la chiusura tagliente del professore. – Semmai, possiamo riparlarne per un’altra sera. – Accennò ad allontanarsi. – Ci vediamo in aula.
- Arrivederci, professor Lemoine – replicò il giovane, trangugiando la propria birra, affranto per quello sviluppo a lui sfavorevole.

Dopo la visita alla mostra di pittura, le giornate all’università si succedettero con i toni consueti. Il rapporto tra Paul e Denis rimase un po’ in ombra: si parlarono poco, se non per salutarsi cordialmente; di tanto in tanto, il ragazzo fu in imbarazzo per essere stato deluso da quel rifiuto.
Passarono alcuni giorni. Il giovane Leroux frequentò le lezioni di fisica applicata guardando il suo insegnante con gli occhi di chi aspetti un segno, per proporsi nuovamente alla persona desiderata.
Alla fine della settimana, Paul passò un sabato piovoso interamente in casa: non gli piaceva bagnarsi. Preparò la lezione per il lunedì e si decise a riflettere seriamente sulla propria situazione sentimentale.
Stare solo non era sempre bello. Gli mancavano il dialogo, la tenerezza e il sesso; non necessariamente in quell’ordine. I due incontri con Denis avevano offerto l’occasione per risvegliarsi da quel punto di vista, ma non ne aveva approfittato. Era stato, forse, per paura di uno scandalo all’università? Pensandoci bene, Paul si accorse di aver capito che cosa non volesse: una relazione, probabilmente non durevole, con qualcuno troppo giovane per potersi rapportare alla pari. Sarebbe stato un altro legame padre-figlio, come quello che aveva vissuto per molti anni con Antoine.
Quel sabato sera, l’insegnante si addormentò davanti alla televisione accesa, guardando un film al quale dedicò pochissima attenzione.

Scostando le tende dalle finestre, il mattino dopo, Paul scoprì un cielo terso, rigato solo da qualche striscia bianca. Rallegrato da quel miglioramento, fece colazione e si preparò a uscire per una passeggiata nella primavera lionese.
Il nodo alla cravatta era sempre stato suo nemico, per tutte le volte che aveva rischiato di farlo arrivare tardi agli appuntamenti, oppure in facoltà. Quando suonò il campanello, andò a vedere chi fosse, con i due lembi di seta penzoloni sul torace.
Fu sorpreso, aprendo la porta, nel vedere Antoine sul pianerottolo. Il suo compagno degli anni passati appariva in discreta forma e ben vestito, contrariamente all’aspetto trascurato che ricordava.
- Ciao, Paul – lo salutò.
- E’ decisamente una sorpresa – furono le parole del professore.
- La sorpresa, in genere, è l’obiettivo delle improvvisate – puntualizzò l’altro, sfoggiando il suo sorriso conquistatore.
- Allora entra – lo invitò Paul, spostandosi di lato per lasciarlo passare.
S’inoltrarono verso il salotto. Una volta seduto in divano, Antoine si guardò intorno con curiosità. – E’ diverso da come lo ricordavo – rilevò. – Hai cambiato qualcosa?
- Sostanzialmente no – fu la smentita. - Il tempo altera i ricordi – commentò poi, picchiettando le dita sul tavolino: quella visita gli stava provocando ansia.
- E’ vero – confermò l’ospite. Ne approfittò per introdurre l’argomento che gl’interessava: – Parlando dei ricordi, ne abbiamo di buoni e di meno buoni.
Paul non seppe che cosa dire. Quella chiara allusione ai loro trascorsi lo fece ripensare al rapporto concluso un anno prima. Era stata pesante, la vita con Antoine; tuttavia, la voglia di vivere pareva essere tornata in lui. Preferì non parlare di quell’argomento: - Il passato è passato – sentenziò.
- Certo – confermò, con una punta di amarezza nella voce. – Intendevo dire che la nostra è stata una storia tormentata.
Il padrone di casa, a quel punto, non ebbe dubbi: quella visita inaspettata era un pretesto di Antoine per scaricare il proprio senso di colpa.
- Sono consapevole di averti fatto soffrire molto, e mi dispiace – continuò l’altro.
L’imprevista confessione di Antoine risvegliò in Paul il ricordo di quei momenti drammatici. Provò un senso di angoscia, perciò lo interruppe: - Non parliamone più – disse, alzandosi in piedi. – Abbiamo già sofferto una volta, non vedo il motivo di tormentarci ancora.
- E se in futuro andasse diversamente? – domandò Antoine, determinato a farsi riaccettare.
Il docente si voltò a guardare il suo vecchio amore: - Non credi che dieci anni siano sufficienti, per giudicare se un rapporto possa funzionare?
- Sei sempre stato un pessimista! – gli rinfacciò aspramente.
Paul si risentì, per quell’appunto: - Mi pare di saper giudicare che cosa sia bene e che cosa sia male, per me stesso, e questo non è pessimismo.
Antoine capì subito di aver sbagliato, e chinò il capo: - Hai ragione tu – disse. – E’ meglio non parlarne.
Quella resa imprevista estinse di colpo l’animosità di Paul, che stette immobile a osservare il suo ex compagno, avvilito a tal punto da non poter rialzare lo sguardo. Poiché impreparato, fu assalito dalle vestigia dei vecchi sentimenti di pietà e solidarietà, già provati in passato; da essi, scaturì il desiderio di ravvicinarlo con atteggiamento consolatorio. Volle trattenersi, poiché presentiva il pericolo di cadere in quella trappola. Con prudenza, mosse un passo verso di lui: - Posso immaginare come ti senti – affermò.
Antoine sollevò il viso, senza replicare.
Paul sedette accanto a lui, con le mani in mano, senza toccarlo. - Hai lottato per cambiare; ci tieni moltissimo, e vorresti che tutti lo vedessero, ma ti sembra che non se ne accorga nessuno.
L’altro sorrise: - Solo tu mi hai sempre capito al volo.
Il professore continuò: - Se sei veramente cambiato, non devi avere paura di rimanere solo. Un uomo con le tue capacità trova sempre compagnia.
- Ho paura che non sarà come te, Paul – confessò, con il timore di essere respinto. Attese, ma non ricevette risposta. - Mi mancano i nostri momenti felici insieme; le nottate, le risate, i nostri giochi.
Fu Paul a distogliere lo sguardo: voleva a tutti i costi non farsi coinvolgere di nuovo; ma per quanto fosse un sotterfugio, mettere in campo quei ricordi ebbe un effetto emotivo ineludibile.
Antoine sorrise, fiducioso di poter penetrare il muro delle sue resistenze:
- Ti ricordi quando ti chiedevo, per gioco, d’insegnarmi la fisica? Mi viene in mente quel giorno in cui mi spiegasti il principio dei ‘nasi comunicanti’.
Risero, evocando il divertimento di quei momenti ludici. Paul si fece trascinare dal suo ospite, e finirono col parlare della loro vita passata insieme.
- Perdonami – disse il professore, dopo un po’. – Non ti ho offerto niente. – Fece per alzarsi. – Vuoi un caffè, o una bibita?
Antoine, che si era molto rilassato, approfittò dell’offerta: - Visto che è un’occasione speciale, festeggerei con qualcosa di forte. Non avresti un whisky, oppure un cognac?
- Vado a vedere che cos’ho in cucina – rispose Paul, prima di allontanarsi. Tornò, un minuto dopo, recando una bottiglia di grappa italiana, due bicchieri e dell’acqua minerale per se stesso, giacché non amava bere alcolici prima del pranzo.
Alla fine, Paul passò la mattinata quasi interamente in casa, a chiacchierare con Antoine. Il suo ospite aveva tentato inutilmente di trattenersi per il pranzo, ma l’invito non era arrivato. Per liberarsi di lui, il professore l’aveva accompagnato fuori, con il pretesto di uscire a comprare il giornale; l’aveva poi congedato, impegnandosi a richiamarlo presto, per avere sue notizie.

Paul passò le prime ore del pomeriggio a riflettere su ciò che era avvenuto al mattino. Antoine non aveva impiegato molto, per risvegliare il suo interesse. Sulle prime lo aveva convinto, quel suo cambiamento, ma alla fine si era rivelato il solito Antoine: con la scusa della rimpatriata, aveva ceduto in fretta alla tentazione dell’alcool. Non c’era niente di male, ovviamente, salvo forse il fargli tornare in mente che proprio in quel modo era iniziato il suo declino, molti anni prima.
Paul Lemoine aveva capito, grazie a quella visita inattesa, di essere intimamente predisposto ad aprirsi di nuovo; tuttavia, non avrebbe più accettato un simile carico di dispiaceri.
Senza indugiare troppo, aprì la sua rubrica; poi prese il telefono, e compose un numero. Suonava libero.
- Pronto? – disse l’altro.
- Jacques, sono Paul Lemoine – annunciò.
Jacques Morel gridò, tanto fu contento di sentire il suo amico: - Caro Paul! Mi fa piacere, che tu mi abbia chiamato. Hai ancora voglia di parlare dei bei tempi andati?
- A dire il vero – rispose Paul – vorrei parlare di quelli futuri.

Francesco Del Negro
          (Venezia, 1964)