Lezioni di fisica applicata
Uno
studente dell’ultima fila si sforzò di reprimere uno sbadiglio; qualcun altro,
vicino a lui, ne fu contagiato e si lasciò andare, coprendosi educatamente la
bocca. L’inverno era alla fine, ormai; le belle giornate portavano temperature
più miti, causando in alcuni la tipica sonnolenza primaverile.
La
lezione di fisica era quasi al termine. Il docente, allo scopo di vivacizzare
l’atmosfera, volle coinvolgere gli studenti ponendo qualche domanda: - Quando
Cavendish pubblicò il risultato del suo esperimento, quale fu il valore della
massa terrestre? – Indicò una ragazza: - Signorina Simon?
La
studentessa mugugnò qualcosa, poi scosse il capo: - Non lo so, professore –
rispose.
Nella
fila alle spalle della giovane, alzò la mano un altro studente, con lunghi
capelli riccioluti color rosso carota.
L’insegnante
accennò al ragazzo, invitandolo a rispondere: - Signor Leroux?
- Non
fu pubblicato, quel valore – affermò.
- Non
fu riportato – confermò il docente, annuendo. – Sa dirmi anche il perché?
Il
giovane allargò le mani. - Agli scienziati di allora, non gliene importava
niente, quanto pesasse la vecchia crosta – rispose con misurata leggerezza,
provocando qualche risatina; lo studente sapeva che il professor Lemoine fosse
incline ad accettare le battute di spirito, qualora non sconfinassero nella
volgarità.
-
Grazie, signor Leroux – disse l’insegnante, poi si rivolse alla sala intera: -
Coloro che interverranno all’esercitazione in laboratorio, ripassino gli
appunti sull’equipaggiamento di Cavendish. Dopodomani lo ripeteremo, ma ci sarà
una sorpresa. E’ tutto. – Si avvicinò alla cattedra e raccolse le proprie cose.
Gli
studenti si alzarono tutti insieme, chi parlando con altri, chi scendendo di
corsa lungo le scalinate; si creò un certo trambusto.
-
Signor Leroux – chiamò il docente, vedendolo passare.
Il
giovane, che di nome faceva Denis, lo avvicinò: - Sì, professore?
Lemoine
lo guardò calmo, e disse: - Cerchi di non dimenticare che siamo in un’aula
universitaria, signor Leroux.
- Certo,
professore. Mi scuso, se ho offeso i suoi sentimenti. – Lo guardò con un
sorriso difficile da decifrare: l’uomo, che aveva il doppio dei suoi anni,
sapeva quale significato attribuirgli, ma lo ignorò.
- E’
sempre molto preparato, signor Leroux – dichiarò poi. – Quell’aspetto è
positivo.
- Ci
tengo che sia contento di me. – Si mostrò emozionato, dicendo quelle parole. –
Buona giornata, professore.
L’insegnante
rimase perplesso a guardare lo studente mentre si allontanava; poi si mischiò
agli altri e lasciò l’aula.
Uscito
dalla sede dell’università Claude Bernard Lione 1, scese lungo la scalinata
esterna e andò a prendere l’automobile nel parcheggio antistante. Tornò a casa
in pochi minuti. Il suo condominio si trovava in rue Sainte-Hélène, che
attraversava da parte a parte quell’estesa lingua di terra infilata tra il
Rodano e la Saona; poco più a sud, i due rami confluivano in un unico corso
d’acqua.
Quando
entrò in casa, la trovò un po’ fredda. Paul non accendeva più il riscaldamento
da alcuni giorni, ormai, e la temperatura tendeva a rimanere bassa, durante la
mattinata.
Il
freddo ambientale si aggiunse a quello interiore, quando passò attraverso la
sala; Antoine se n’era andato da quasi un anno, ormai; eppure, la sua presenza
era più forte che mai, tra quelle mura.
Per
fortuna, i medici lo avevano salvato, quand’era andato in overdose. Il suo
Antoine, da sempre sottomesso alla droga, aveva rischiato di morire alcuni mesi
prima, in autunno. Il medico del pronto soccorso ne aveva attribuito la colpa a
una partita di eroina tagliata male, ma Paul non s’illuse di poter ignorare la
propria responsabilità: la situazione di Antoine era molto peggiorata, dopo che
l’aveva cacciato da casa. Non ne aveva colpa, ma soffriva ugualmente. Come
poteva considerarsi innocente, sapendo di aver deluso l’uomo che aveva amato
per dieci anni?
Il
pomeriggio di Denis Leroux iniziò con la voglia di evadere. In casa,
l’atmosfera era sempre un po’ pesante, a causa dei suoi genitori. Entrambi
pensionati, passavano le giornate in silenzio, in un clima di civile
sopportazione.
Scappò
via insieme ai suoi appunti, deciso a cercarsi un angolino tranquillo, ma non
così tetro come casa sua, dove poter studiare in pace. Uscì nell’avenue George
Pompidou e si mise a camminare. Istintivamente, le gambe lo portarono verso
nord, nella zona dell’università.
Percorrendo
la strada, ripensò alla lezione del mattino. Gli aveva fatto piacere che la
Simon fosse stata incapace di rispondere a quella domanda, permettendogli di
far bella figura con il professor Lemoine.
Aveva
tutta l’intenzione di prepararsi a dovere per l’esercitazione in laboratorio,
con l’obiettivo di dimostrarsi, se possibile, il migliore.
Il
tempo libero era diventato una croce, per Paul Lemoine, da quando era solo.
Specialmente d’inverno, aveva passato spesso le sue serate in casa, indugiando
nei suoi passatempi preferiti: un buon libro, un film, o la sua collezione di
francobolli dell’estremo oriente, in cui era specializzato. Ben presto, si era
stufato di tutto, perciò aveva maturato l’esigenza di organizzarsi per non
sprofondare nella noia e nella depressione.
Il
giorno seguente, sarebbe stato libero dagli impegni all’università; quindi,
quel pomeriggio non aveva nessuna lezione da preparare. Era martedì, e non gli
risultava alcun evento di rilievo, in città; tuttavia, dopo mangiato era stato
colto dalla malinconia, perciò si decise a uscire.
Era un
pomeriggio tiepido e soleggiato, e Paul pensò che i giardini pubblici fossero
una meta ideale. Sulla riva orientale del Rodano si affacciava il parco della
testa d’oro. A piedi, ci voleva circa mezz’ora, perciò lasciò la macchina in
garage e s’incamminò. Anziché passare per il centro, percorse il lungofiume
fino al limite settentrionale dell’area urbana, poi attraversò il ponte William
Churchill.
Entrò
nel parco dall’ingresso più vicino al ponte. Immerso nella natura, camminò
lungo la pista, incontrando i molti frequentatori presenti, tra i quali un
certo numero di sportivi che si allenavano nella corsa, oppure in bicicletta.
Non
gli ci volle molto, per arrivare nei pressi del lago, poiché la sua estremità
meridionale si trova a poca distanza dall’ingresso. Presso la sponda, notò un
giovane dai capelli rossi seduto sull’erba, all’ombra di un grosso albero;
teneva le gambe incrociate, e su di esse poggiava un quaderno. Passandogli
vicino, poté vederlo meglio: era Denis Leroux, che frequentava il suo corso di
fisica applicata. - Lo chiamò: - Signor Leroux!
Denis
alzò gli occhi dal taccuino. Il suo sguardo s’illuminò, quando riconobbe
l’insegnante: - Professor Lemoine! – esclamò. – E’ venuto a godersi le bellezze
del parco?
- E’
normale, per un uomo della mia età, passeggiare ai giardini pubblici –
dichiarò, divertito da quella coincidenza. – Trovo, invece, alquanto
anticonvenzionale il suo modo di studiare all’aperto, rispetto agli altri
studenti che scelgono abitualmente la biblioteca.
- Io
ci vado, in biblioteca – ribatté il ragazzo, con un gran sorriso – quando ho
bisogno di fare qualche ricerca. Adesso sto studiando il macchinario di
Cavendish, e per quello, sono sufficienti i miei appunti.
- Ti
stai preparando per l’esercitazione? – gli chiese Paul, in senso retorico. – E’
dopodomani. Avresti potuto aspettare domani pomeriggio, per il ripasso.
-
Stamattina, durante la lezione, ha detto che ci sarà una sorpresa – ricordò il
giovane. – Voglio assicurarmi di essere preparato.
Il
docente rimase stupito, poi commentò: - Mi fa piacere che t’interessi alla mia
materia così seriamente. – Accennò ad andarsene: - Ti lascio studiare.
Lo
studente guardò il suo insegnante che se ne andava, poi lo chiamò: - Aspetti,
professor Lemoine!
Paul
si volse verso il giovane; lo vide alzarsi e corrergli incontro.
- Si
offende, se la invito a bere qualcosa insieme? – domandò Denis. – Mi è venuta
sete, stando seduto a leggere.
L’uomo
rifletté un momento: non aveva mai frequentato i suoi studenti, perché gli
pareva inappropriato; tuttavia, quell’incontro era imprevisto, perciò non gli
sembrò sconveniente, prendere una bibita insieme al ragazzo. – Non vedo proprio
perché dovrei offendermi – fu la sua risposta. – E dove pensa di trovare
qualcosa da bere, qui al parco?
Entusiasta
per il consenso dell’altro, Denis si mostrò eccitato: - Un po’ più in là –
disse, gesticolando verso est – c’è la boutique, che vende anche bevande. Possiamo
fare due passi insieme.
Messo
di fronte alla proposta nella sua concretezza, a Paul non rimase che accettare:
- D’accordo.
S’incamminarono
verso l’ingresso del giardino zoologico. Passarono in rassegna un gran numero
di animali esotici, scambiandosi le loro impressioni. In seguito, lo studente
pose una domanda di natura personale: - E’ sposato?
L’insegnante
scosse la testa: - No, non sono mai stato sposato. – Paul rifletté, prima di
dire altro. Non manteneva segreta la propria preferenza sessuale, ma nemmeno
amava pubblicizzarla. Successivamente, aggiunse: - Ho avuto una lunga
convivenza, che è terminata lo scorso anno.
Arrivati
alla boutique, Denis acquistò due bevande; i due rimasero a bere in piedi
davanti al chiosco. Il ragazzo raccontò la propria situazione familiare, fredda
e disagevole. Il docente ascoltò con interesse, costatando quanto potesse
cambiare la visione delle persone, spingendosi oltre la superficie.
Tornando
a casa, Paul fece una passeggiata per la rue Garibaldi. L’incontro con Denis
gli diede da pensare.
Lo
studente si era mostrato notevolmente entusiasta, e lui si era lasciato
coinvolgere. La freschezza giovanile che gli aveva comunicato, evocò i ricordi
dei primi tempi con Antoine.
Per
un’improbabile coincidenza, lo aveva conosciuto durante una gita a Marsiglia.
Erano partiti da Lione con lo stesso treno, occupando carrozze diverse.
All’arrivo, avevano lasciato la stazione, iniziando a scendere la lunga
scalinata che porta in città. Si erano trovati affiancati, ognuno con il proprio
zaino. A metà gradinata, Antoine gli aveva domandato come mai continuasse a
guardare lui, anziché lo splendido panorama. Colto alla sprovvista, Paul aveva
risposto con sincerità, confessando di non poter distogliere lo sguardo. Erano
seguite le presentazioni, poi la passeggiata per le vie di Marsiglia, la cena,
e infine la nottata in discoteca; la prima di molte notti insonni. Che giorni
erano stati, quelli! La droga era venuta dopo, a sfasciare le loro vite. Già
dai primi tempi, Antoine aveva manifestato l’inclinazione a stordirsi in
qualche maniera: inizialmente con qualche bicchierino di troppo. Quando era
passato agli spinelli, Paul aveva creduto alla storia che fossero innocui; ma
dopo il salto all’eroina, quando capì quanto fosse grave la situazione, era
stato già troppo tardi, per correre ai ripari. In pochi anni, l’Antoine dolce e
spensierato conosciuto nell’estate marsigliese era scomparso, lasciando il
posto a un’anima inquieta e costantemente inappagata, che aveva perduto
progressivamente la capacità di dare amore, specialmente a se stesso. “Che
strano effetto fa, l’amore” pensò Paul, arrivando a casa. “Quando ripensi a
qualcuno che hai amato tanto, ricordi i momenti della passione più fulgida, per
primi; ma poi sei schiacciato, quasi immediatamente, dalla triste realtà di
quanto l’amore possa spingerti in basso”.
Il
mercoledì mattina, Paul lo dedicò alle faccende di casa. Ovviamente, poteva
permettersi una domestica: c’era Irene, una ragazza italiana, che andava a casa
sua tutti i venerdì mattina a fare la lavatrice, stendere e stirare la
biancheria asciutta della settimana precedente. Per fare la spesa e le pulizie
di casa, però, doveva arrangiarsi.
Andò
all’ipermercato e riempì il bagagliaio della sua automobile con le scorte per
la settimana. Al momento di ripartire, entrò e accese il motore; rimase qualche
istante inattivo, ad attendere che l’acqua nel radiatore si scaldasse.
Mentre
fissava l’indicatore del termometro, fu disturbato dal suono intermittente di
un clacson, alla sua sinistra. Guardò dal finestrino: nella vettura accanto, un
tipo gli faceva dei segni. Entrambi abbassarono i vetri, per potersi parlare: -
Paul! – chiamò l’altro. L’insegnante lo guardò: quell’uomo aveva qualcosa di
familiare. – Paul! – insistette. – Sono io, Jacques! Jacques Morel! Non ti
ricordi?
Per il
docente, fu un brusco ritorno ai suoi anni da studente, quando capì chi fosse
il tizio nell’altra automobile. Con Jacques Morel, ne aveva combinate tante,
quando avevano frequentato insieme l’università. Avevano sviluppato una forte
intesa, e la passione giovanile si era espressa con forza tra loro; però, il
loro rapporto non si era spinto oltre l’amicizia, pur essendoci un intimo
affiatamento.
- Jacques! Certo che mi ricordo – rispose,
senza nascondere il proprio entusiasmo. – Una volta, andasti in giro tutta la
notte con le mie mutande infilate nel manubrio della tua moto. – I due uomini
esplosero in una risata, ripensando a quei momenti incancellabili.
-
Dovremmo vederci, una volta – fu la proposta di Jacques.
Paul
gradì quell’invito, ed espresse il proprio consenso: - Con piacere.
- Io
gestisco una copisteria nell’avenue Berthelot. Perché non vieni a trovarmi? –
suggerì.
- Ci
verrò senz’altro – rispose, sorridente.
Si
salutarono brevemente, poi lasciarono il parcheggio, ognuno per la sua
destinazione.
Paul
raggiunse il suo condominio in pochi minuti. Dovette fare un paio di viaggi in
ascensore, per portare in casa tutta la spesa. In quell’arco di tempo, vagò col
pensiero tra le memorie dei suoi anni verdi, rimembrando le serate passate
insieme a Jacques. Quando si erano conosciuti, aveva provato subito una
profonda attrazione verso di lui; quel sentimento, però, aveva l’anima
dell’amicizia, e non si era espresso con la tipica esuberanza della passione.
Si erano concessi gran confidenza, rivelandosi i loro sogni più profondi, non
risparmiandosi le critiche, ma senza mai negarsi il rispetto.
Ricordò
quei giorni, valutando che fosse stato uno dei periodi più felici della sua
vita. Ce n’erano stati altri, ovviamente: i primi anni insieme ad Antoine, per
esempio; ma la vita da studente era stata caratterizzata da quella vivace
spensieratezza che più di rado, negli anni della maturità, è possibile
sperimentare ancora. Per lo meno, a Paul non era più capitato.
Dopo
mangiato, il docente di fisica ricordò di non dover preparare alcuna lezione,
per il giorno seguente: il programma, infatti, prevedeva l’esercitazione in
laboratorio con la macchina di Cavendish, perciò non c’era bisogno di alcun
ripasso. Oltre a quello, si rese conto che, per tutto il tempo passato in casa,
aveva pensato all’incontro della mattina con Jacques Morel. Non ne era mai
stato infatuato, però gli era chiara una cosa: i bei ricordi della giovinezza
non perdono mai il potere d’incantare la fantasia; anzi, con il passare degli
anni, la loro capacità di sedurre si rafforza.
In un
momento imprecisato del pomeriggio, si scoprì deciso ad assecondare l’invito
del suo vecchio amico, andando a fargli visita nel suo negozio di fotocopie.
Uscì
poco prima delle sedici e raggiunse a piedi l’avenue Berthelot, che si trovava
poco distante da casa sua, appena di là del Rodano. Trovata la copisteria, si
fermò davanti alla vetrina per dare un’occhiata: all’interno, un giovane
commesso stava copiando le pagine di un libro per conto di una studentessa, che
assisteva annoiata; un momento dopo, Jacques Morel arrivò in banco dal
retrobottega. Per Paul, fu istintivo sollevare una mano, ottenendo la sua
attenzione; l’altro ricambiò il saluto, invitandolo a entrare.
Mentre
Paul varcava l’ingresso, Jacques gli andò incontro, e si fermarono a parlare a
metà strada.
- Mi
hai preso in parola – osservò Jacques, per sottolineare la solerzia del suo
amico.
- Dopo
che ci siamo visti stamattina, ho pensato molto ai vecchi tempi – ammise
l’insegnante.
Il
commerciante rispose con voce tremante: - Anche a me, è capitata la stessa
cosa.
Fu un
momento d’intensa emozione, per i due uomini. Paul si schiarì la voce, poi
disse: - Spesso, a noi vecchietti, manca l’allegria della giovinezza passata.
-
Quando eravamo ragazzi, invece, ci mancavano la maturità e l’esperienza –
sentenziò l’altro, con un sorriso malizioso.
- Non
siamo mai contenti – fu la conclusione di Paul, che poi aggiunse: - Non si può
avere tutto.
-
Tutto, no – confermò Jacques. – Però, possiamo avere ancora tanto.
In un
primo momento non ne aveva avuta la certezza, ma giunti a quel punto, Paul non
ebbe più dubbi riguardo al messaggio che l’altro intendeva trasmettergli.
Evidentemente, Jacques accarezzava l’idea di ricominciare a frequentarlo, ma
non era chiaro con quali finalità. Indicò il ragazzo che lavorava nel negozio:
- Lui è…?
- Non
è dei nostri – lo interruppe l’amico, con un’espressione eloquente.
- Insomma, che cosa hai fatto, in tutti questi
anni? – volle sapere il docente, ravvivando la conversazione.
Jacques infilò le mani in tasca: - Non sono
riuscito a lavorare nel campo scientifico, perciò ho investito tutto in
quest’attività. – Parlò guardandosi intorno: sembrava a disagio nel confronto
con Paul, che aveva avviato con successo la carriera nel campo della didattica.
In
quel mentre, entrò nel negozio una giovane coppia, recando alcuni documenti da
fotocopiare. Paul si girò a guardarli; poi notò che il commesso era ancora
impegnato con la sua cliente, e ritenne che fosse d’intralcio: - E’ meglio che
vada, così ti lascio lavorare – affermò.
L’altro
andò incontro ai due avventori, ma non prima di aver congedato Paul con stile:
- Mi ha fatto moltissimo piacere, la tua visita. Vorrei che avessimo più tempo.
Perché non mi chiami, qualche volta?
-
Senz’altro – fece il docente, arretrando di un passo; poi si voltò e uscì.
Tornò
verso casa, attraversando il Rodano al ponte in fondo alla strada. Giunto
all’angolo di rue Sainte-Hélène, decise di allungare la passeggiata, poiché era
presto, e proseguì sulla riva del fiume.
Non
poté evitare di domandarsi come si sarebbe comportato, nei confronti di
Jacques. Il suo vecchio amico gli aveva dimostrato molto interesse,
rivolgendogli due inviti nella stessa giornata. Paul non aveva bisogno di una
dichiarazione esplicita, per capire le sue intenzioni; ma era di se stesso, che
dubitava: lo avrebbe reso felice, approfittare di quell’occasione? Valutando la
persona con obiettività, sembrava un tipo affidabile. Lo era sempre stato, in
fin dei conti, anche se con qualche eccesso stravagante. Il vero problema,
invece, pareva essere un altro: Paul non sapeva che cosa ci volesse, per
renderlo felice. Il suo rapporto più importante, con Antoine, era sembrato
felice, per un po’: cioè, prima della droga; ma in seguito, quand’erano
iniziati i problemi, era forse terminata, la felicità? Poteva credere che fosse
l’assenza di problemi, a rendere felici? Se era così, lasciare Antoine avrebbe
dovuto garantirgliela, quell‘agognata felicità, ma non era andata in quel modo.
L’amarezza e la pesantezza di una vita priva di soddisfazioni si erano
protratte a lungo.
C’era
voluto un anno di solitudine, per restituire un equilibrio alla sua vita. Forse
era quella, la vera felicità: l’equilibrio, cioè un momento di serenità, in cui
nulla potesse turbare la quiete di una vita senza scossoni, anche se, unico
effetto collaterale, con poche emozioni.
Il
laboratorio di fisica applicata brulicava di studenti, ansiosi di cimentarsi
nel compito del giorno. Paul Lemoine l’aveva promesso, che ci sarebbe stata una
sorpresa, e così era stato: con loro grande sconcerto, i giovani avevano
trovato, ad aspettarli, l’attrezzatura per eseguire l’esperimento di Cavendish,
ma completamente disassemblata. L’esercitazione programmata consisteva nel
montare in modo corretto la macchina: una bilancia di torsione, ideata per
misurare la costante di gravitazione universale.
A un
lato dell’ampio salone, si trovavano due carrelli elevatori a motore; vicino a
un’altra parete, due solidi piedistalli reggevano due grosse sfere metalliche,
del peso di 157,8 Kg. ciascuna.
Al
centro, poggiate a terra, c’erano le aste, le corde e i tubi, completi di tutti
i raccordi necessari per montare il telaio.
Inizialmente,
alcuni ragazzi manifestarono atteggiamenti disfattisti, di fronte a
quell’incombenza. Solo alcuni, tra loro, accolsero la sfida con entusiasmo: uno
di loro fu Denis Leroux.
Il
lavoro si svolse per tutta la mattinata, fino all’ora di pranzo. Al termine,
spossati ma soddisfatti, gli studenti si affidarono al giudizio dell’insegnante
per la valutazione: la bilancia di torsione era stata montata con successo, e
il susseguente esperimento era riuscito perfettamente.
- E’
contento, professor Lemoine? – domandò Denis avvicinandolo, al termine della
sessione.
-
Senz’altro. – Paul fu felice, quando il ragazzo gli parlò. – Siete una buona
squadra.
-
Anch’io sono contento. – Denis si espresse senza timidezza: - E poi, mi ha
fatto piacere che abbia accettato il mio invito, l’altro ieri pomeriggio,
quando ci siamo incontrati al parco della Testa d’Oro.
Al
docente sembrò un po’ strano, mischiare il rapporto professore-studente con la
vita privata; comunque, non gli parve logico rinnegare il piacere di quei
momenti: - Anch’io sono stato bene – ammise.
-
Speravo che lo dicesse! – Il giovane non nascose il proprio entusiasmo: -
Potrei azzardare un altro invito? – Estrasse dalla tasca della sua giacca due
foglietti e glieli mostrò: - Ho due biglietti per entrare gratuitamente
all’inaugurazione di una mostra su Ludovico De Luigi.
- Chi è?
– chiese istintivamente Paul. - Non lo conosco.
- E’
un bravissimo pittore italiano contemporaneo, non molto conosciuto in Francia.
I suoi quadri sono bellissimi; e poi, ci sarà anche un rinfresco.
L’insegnante
non rispose; si limitò a osservare il viso del ragazzo: lo guardava con occhi
invaghiti, ma ancora non capiva se cercasse in lui un partner, oppure una
figura paterna, visti i suoi problemi con i genitori. La possibilità che
volesse essere favorito nello studio era molto remota, essendo uno dei suoi
migliori studenti. Chiaramente, spiccava la differenza tra il bere qualcosa
insieme al chiosco del parco, in seguito a un incontro casuale, e il
programmare un appuntamento al di fuori dell’attività universitaria: si entrava
nel campo dei rapporti personali, e Paul non era incline a intraprendere quella
strada. D’altro canto, gli piaceva quel ragazzo, e mentre elencava mentalmente
tutti i motivi per rifiutare l’invito, aveva già deciso di accettare: - Va
bene, Denis. Credo che verrò.
-
Grande, prof! – commentò il giovane, con un moto d’esultanza.
Presero
accordi per vedersi al pomeriggio. Esaurito l’impegno alla facoltà, il docente
tornò a casa, domandandosi se fosse una scelta assennata, socializzare con quel
giovane. Ovviamente, lui aveva le migliori intenzioni, ma fu determinato a
essere cauto.
Era
valsa la pena di visitare la mostra soltanto per le tartine al caviale: questo
pensava Paul, mentre passava in rassegna i dipinti, mangiucchiando il suo
spuntino.
Le
tele di Ludovico De Luigi lo colpirono. Esse univano spesso elementi di
fantasia ad altri del mondo reale, oppure mischiavano realtà differenti in modo
capriccioso: c’era un quadro che riproduceva una gigantesca onda anomala sopra
piazza S. Marco, a Venezia, mentre un altro mostrava il ponte di Rialto, oppure
il campanile di S. Marco; Venezia era spesso presente, nelle sue opere.
- Che
cosa ne pensa, Professor Lemoine? – domandò Denis. I due si erano fermati a
contemplare un quadro molto grande; oltre ai consueti elementi del capoluogo
veneto, era rappresentata una giovane donna a petto nudo sullo sfondo.
- Non
capisco che cosa c’entri la ragazza nuda con tutto il resto – affermò Paul,
accennando al dipinto con la mano in cui teneva il suo crostino allo storione.
- Può
darsi che il pittore intendesse paragonare la bellezza di Venezia alle grazie
di una fanciulla – fu l’ipotesi suggerita dallo studente.
- O
forse – spiegò, in alternativa – pensava di eccitare lo spettatore, per
invogliarlo all’acquisto.
-
Certo – ammise l’altro, con prudenza. – Nessuno è indifferente, davanti a una
bella ragazza.
Ci fu
silenzio: l’insegnante non si pronunciò rispetto a quell’affermazione. Dopo
averci pensato, decise di affrontare l’argomento un po’ alla larga: - La figura
femminile è sempre stata di grande ispirazione in tutte le discipline
artistiche, fin dall’antichità. La sua avvenenza, l’eleganza, sono state
riprodotte in tutti i modi, per la capacità di catturare l’attenzione del
pubblico.
- Si
possono dire le stesse cose anche del corpo maschile – obiettò Denis. – Gli
scultori greci e romani hanno prodotto figure di dei e guerrieri scolpiti nella
pietra, in gran quantità.
- Sono
quelle che preferisco – ammise il docente, annuendo.
-
Anch’io! – esclamò il giovane, entusiasta. Guardò il suo professore con
malizia: - Mi sembra che abbiamo qualcosa in comune. - Tornarono verso il
buffet per prendere da bere.
Presero
una birra ciascuno, poi andarono a sedere su uno dei divani posti al centro
della sala. Si rilassarono, e lo studente passò all’azione: - Sono felice che abbia
accettato il mio invito – dichiarò.
Paul
annuì, sorseggiando la sua birra, poi rispose: - Valeva la pena di vedere
questa mostra; ti ringrazio.
L’altro
scosse la testa: - Non è solo per la mostra. – Volle chiarire la sua posizione,
ma con delicatezza: - Dopo aver frequentato il suo corso per un po’ di tempo,
ho desiderato conoscerla meglio, professor Lemoine.
L’insegnante
s’irrigidì leggermente: temeva e desiderava quel momento al tempo stesso, non
sapendo come avrebbe reagito.
Denis
se ne accorse, e tentò di rimediare: - Può capitare di simpatizzare per
qualcuno, anche nel caso in cui il rapporto possa dar luogo a un conflitto
d’interessi. Per questo motivo – volle spiegare – ho aspettato, prima di
espormi. La mia paura più grande è di essere frainteso. – Tralasciò la prudenza
e si espresse liberamente: - Non vorrei farle pensare che il mio interessamento
fosse un pretesto per essere favorito nello studio.
- Non
lo penso assolutamente – affermò Paul, per tranquillizzarlo. – Sei tra i più
bravi, al mio corso, quindi non avresti motivo d’ingannarmi, per ottenere delle
buone valutazioni.
-
Grazie, professore. – Il giovane arrossì, per il piacere che gli aveva dato
quel complimento. – Per essere completamente sincero, devo ammettere
d’impegnarmi maggiormente nella sua materia, rispetto alle altre, proprio
perché voglio evitare che lei possa mal interpretare la simpatia che le
esprimo.
Il
docente fu colpito da quella dichiarazione: Denis gli aveva appena confessato i
suoi sentimenti in modo inconsueto, informale, ma non per questo meno efficace.
– E’ molto bello, quello che mi hai detto – fu la sua semplice risposta.
-
Grazie. – Il giovane s’illuminò, pensando di averlo conquistato.
- Mi
riesce spontaneo domandarmi che cosa trovi, in me, di tanto interessante –
volle sapere Paul.
- In
effetti, capisco che possa apparire un po’ strano – confermò il ragazzo. – A
chiunque, sembrerebbe evidente la differenza di età. Forse, lei vorrebbe sapere
come mai io non preferisca frequentare i miei coetanei.
-
Pensavo proprio a quello, infatti – ammise.
- Le
ho raccontato della mia situazione familiare. – S’incupì. - Il rapporto con i
miei genitori è sempre molto distaccato; perciò, è forse possibile che stia
cercando una figura paterna alla quale attaccarmi. D’altra parte, tutti quanti
cerchiamo nel prossimo le nostre figure di riferimento, non è vero? – Gli
sorrise con aria saccente: - Il padre, la madre, sono i modelli che tutti
cerchiamo negli altri; ma se poi riduciamo le relazioni alle meccaniche
psicologiche per cui si sviluppano, non c’è pericolo di togliere loro tutto il
sapore?
L’insegnante
ultraquarantenne fu ulteriormente stupito, questa volta dall’acume e dalla
dialettica del suo studente. Trovò quel discorso molto coinvolgente, ma iniziò
ad avvertire una certa pressione: era evidente, infatti, che l’interesse
mostrato dal giovane richiedeva una risposta, ma non era ancora sicuro di quale
intendesse fornire. – Molto bene, Denis – disse. – Sono felice di questa nuova
amicizia. Comunque, credo che ora mi avvierò verso casa.
- Il
ragazzo si mostrò deluso: - Ho detto qualcosa di sbagliato? – fu il suo timore.
-
Assolutamente no – chiarì l’altro, alzandosi.
-
Avevo pensato d’invitarla a cena, stasera – azzardò.
- Mi
sembra prematuro – fu la chiusura tagliente del professore. – Semmai, possiamo
riparlarne per un’altra sera. – Accennò ad allontanarsi. – Ci vediamo in aula.
-
Arrivederci, professor Lemoine – replicò il giovane, trangugiando la propria
birra, affranto per quello sviluppo a lui sfavorevole.
Dopo
la visita alla mostra di pittura, le giornate all’università si succedettero
con i toni consueti. Il rapporto tra Paul e Denis rimase un po’ in ombra: si
parlarono poco, se non per salutarsi cordialmente; di tanto in tanto, il
ragazzo fu in imbarazzo per essere stato deluso da quel rifiuto.
Passarono
alcuni giorni. Il giovane Leroux frequentò le lezioni di fisica applicata
guardando il suo insegnante con gli occhi di chi aspetti un segno, per proporsi
nuovamente alla persona desiderata.
Alla
fine della settimana, Paul passò un sabato piovoso interamente in casa: non gli
piaceva bagnarsi. Preparò la lezione per il lunedì e si decise a riflettere
seriamente sulla propria situazione sentimentale.
Stare
solo non era sempre bello. Gli mancavano il dialogo, la tenerezza e il sesso;
non necessariamente in quell’ordine. I due incontri con Denis avevano offerto
l’occasione per risvegliarsi da quel punto di vista, ma non ne aveva
approfittato. Era stato, forse, per paura di uno scandalo all’università?
Pensandoci bene, Paul si accorse di aver capito che cosa non volesse: una
relazione, probabilmente non durevole, con qualcuno troppo giovane per potersi
rapportare alla pari. Sarebbe stato un altro legame padre-figlio, come quello
che aveva vissuto per molti anni con Antoine.
Quel
sabato sera, l’insegnante si addormentò davanti alla televisione accesa,
guardando un film al quale dedicò pochissima attenzione.
Scostando
le tende dalle finestre, il mattino dopo, Paul scoprì un cielo terso, rigato
solo da qualche striscia bianca. Rallegrato da quel miglioramento, fece
colazione e si preparò a uscire per una passeggiata nella primavera lionese.
Il
nodo alla cravatta era sempre stato suo nemico, per tutte le volte che aveva
rischiato di farlo arrivare tardi agli appuntamenti, oppure in facoltà. Quando
suonò il campanello, andò a vedere chi fosse, con i due lembi di seta penzoloni
sul torace.
Fu
sorpreso, aprendo la porta, nel vedere Antoine sul pianerottolo. Il suo
compagno degli anni passati appariva in discreta forma e ben vestito,
contrariamente all’aspetto trascurato che ricordava.
-
Ciao, Paul – lo salutò.
- E’
decisamente una sorpresa – furono le parole del professore.
- La
sorpresa, in genere, è l’obiettivo delle improvvisate – puntualizzò l’altro,
sfoggiando il suo sorriso conquistatore.
-
Allora entra – lo invitò Paul, spostandosi di lato per lasciarlo passare.
S’inoltrarono
verso il salotto. Una volta seduto in divano, Antoine si guardò intorno con
curiosità. – E’ diverso da come lo ricordavo – rilevò. – Hai cambiato qualcosa?
-
Sostanzialmente no – fu la smentita. - Il tempo altera i ricordi – commentò
poi, picchiettando le dita sul tavolino: quella visita gli stava provocando
ansia.
- E’
vero – confermò l’ospite. Ne approfittò per introdurre l’argomento che
gl’interessava: – Parlando dei ricordi, ne abbiamo di buoni e di meno buoni.
Paul
non seppe che cosa dire. Quella chiara allusione ai loro trascorsi lo fece
ripensare al rapporto concluso un anno prima. Era stata pesante, la vita con
Antoine; tuttavia, la voglia di vivere pareva essere tornata in lui. Preferì
non parlare di quell’argomento: - Il passato è passato – sentenziò.
-
Certo – confermò, con una punta di amarezza nella voce. – Intendevo dire che la
nostra è stata una storia tormentata.
Il
padrone di casa, a quel punto, non ebbe dubbi: quella visita inaspettata era un
pretesto di Antoine per scaricare il proprio senso di colpa.
- Sono
consapevole di averti fatto soffrire molto, e mi dispiace – continuò l’altro.
L’imprevista
confessione di Antoine risvegliò in Paul il ricordo di quei momenti drammatici.
Provò un senso di angoscia, perciò lo interruppe: - Non parliamone più – disse,
alzandosi in piedi. – Abbiamo già sofferto una volta, non vedo il motivo di
tormentarci ancora.
- E se
in futuro andasse diversamente? – domandò Antoine, determinato a farsi
riaccettare.
Il
docente si voltò a guardare il suo vecchio amore: - Non credi che dieci anni
siano sufficienti, per giudicare se un rapporto possa funzionare?
- Sei
sempre stato un pessimista! – gli rinfacciò aspramente.
Paul
si risentì, per quell’appunto: - Mi pare di saper giudicare che cosa sia bene e
che cosa sia male, per me stesso, e questo non è pessimismo.
Antoine
capì subito di aver sbagliato, e chinò il capo: - Hai ragione tu – disse. – E’
meglio non parlarne.
Quella
resa imprevista estinse di colpo l’animosità di Paul, che stette immobile a
osservare il suo ex compagno, avvilito a tal punto da non poter rialzare lo
sguardo. Poiché impreparato, fu assalito dalle vestigia dei vecchi sentimenti
di pietà e solidarietà, già provati in passato; da essi, scaturì il desiderio
di ravvicinarlo con atteggiamento consolatorio. Volle trattenersi, poiché
presentiva il pericolo di cadere in quella trappola. Con prudenza, mosse un
passo verso di lui: - Posso immaginare come ti senti – affermò.
Antoine
sollevò il viso, senza replicare.
Paul
sedette accanto a lui, con le mani in mano, senza toccarlo. - Hai lottato per
cambiare; ci tieni moltissimo, e vorresti che tutti lo vedessero, ma ti sembra
che non se ne accorga nessuno.
L’altro
sorrise: - Solo tu mi hai sempre capito al volo.
Il
professore continuò: - Se sei veramente cambiato, non devi avere paura di
rimanere solo. Un uomo con le tue capacità trova sempre compagnia.
- Ho
paura che non sarà come te, Paul – confessò, con il timore di essere respinto.
Attese, ma non ricevette risposta. - Mi mancano i nostri momenti felici
insieme; le nottate, le risate, i nostri giochi.
Fu
Paul a distogliere lo sguardo: voleva a tutti i costi non farsi coinvolgere di
nuovo; ma per quanto fosse un sotterfugio, mettere in campo quei ricordi ebbe
un effetto emotivo ineludibile.
Antoine
sorrise, fiducioso di poter penetrare il muro delle sue resistenze:
- Ti
ricordi quando ti chiedevo, per gioco, d’insegnarmi la fisica? Mi viene in
mente quel giorno in cui mi spiegasti il principio dei ‘nasi comunicanti’.
Risero,
evocando il divertimento di quei momenti ludici. Paul si fece trascinare dal
suo ospite, e finirono col parlare della loro vita passata insieme.
-
Perdonami – disse il professore, dopo un po’. – Non ti ho offerto niente. –
Fece per alzarsi. – Vuoi un caffè, o una bibita?
Antoine,
che si era molto rilassato, approfittò dell’offerta: - Visto che è un’occasione
speciale, festeggerei con qualcosa di forte. Non avresti un whisky, oppure un
cognac?
- Vado
a vedere che cos’ho in cucina – rispose Paul, prima di allontanarsi. Tornò, un
minuto dopo, recando una bottiglia di grappa italiana, due bicchieri e
dell’acqua minerale per se stesso, giacché non amava bere alcolici prima del
pranzo.
Alla
fine, Paul passò la mattinata quasi interamente in casa, a chiacchierare con
Antoine. Il suo ospite aveva tentato inutilmente di trattenersi per il pranzo,
ma l’invito non era arrivato. Per liberarsi di lui, il professore l’aveva
accompagnato fuori, con il pretesto di uscire a comprare il giornale; l’aveva
poi congedato, impegnandosi a richiamarlo presto, per avere sue notizie.
Paul
passò le prime ore del pomeriggio a riflettere su ciò che era avvenuto al
mattino. Antoine non aveva impiegato molto, per risvegliare il suo interesse.
Sulle prime lo aveva convinto, quel suo cambiamento, ma alla fine si era
rivelato il solito Antoine: con la scusa della rimpatriata, aveva ceduto in
fretta alla tentazione dell’alcool. Non c’era niente di male, ovviamente, salvo
forse il fargli tornare in mente che proprio in quel modo era iniziato il suo
declino, molti anni prima.
Paul
Lemoine aveva capito, grazie a quella visita inattesa, di essere intimamente
predisposto ad aprirsi di nuovo; tuttavia, non avrebbe più accettato un simile
carico di dispiaceri.
Senza
indugiare troppo, aprì la sua rubrica; poi prese il telefono, e compose un
numero. Suonava libero.
-
Pronto? – disse l’altro.
-
Jacques, sono Paul Lemoine – annunciò.
Jacques
Morel gridò, tanto fu contento di sentire il suo amico: - Caro Paul! Mi fa
piacere, che tu mi abbia chiamato. Hai ancora voglia di parlare dei bei tempi
andati?
- A
dire il vero – rispose Paul – vorrei parlare di quelli futuri.
Francesco Del Negro
(Venezia, 1964)